Lo ammetto: speravo e un po’ sapevo che, acquistando “I libri si sentono soli” di Luigi Contu (La nave di Teseo), mi sarei regalato una lettura “ruffiana”, di quelle cioè che già so in partenza che mi conquisteranno perché l’argomento mi è congeniale. E questo perché dalle note editoriali avevo appreso di un lungo racconto di un figlio che “fruga” nella biblioteca del padre. E dunque “un libro sui libri”, secondo l’argomento che peraltro da anni mi picco di collezionare. Ma quello che immaginavo – ovvero la proiezione delle mie tante ore passate anche semplicemente a guardare, a toccare, a odorare i libri di papà – non solo s’è tramutato in realtà, ma con un moltiplicatore di un miliardo di volte, complice anche la scrittura da giornalista di razza (nessuna piaggeria, mica lo conosco personalmente) di Contu, direttore dell’agenzia Ansa.
Le mie due notti passate insieme a questo libro e ai tanti libri che a sua volta contiene sono state insomma spese benissimo, proprio come le notti che l’Autore ammette di aver trascorso nello studio del padre: prima per organizzare un trasloco razionale da una casa all’altra, poi per le tante scoperte (storiche, scientifiche, financo politiche) che Contu compie tra libri e riviste appartenuti a suo padre ma anche a suo nonno. E la “saga familiare” che ne viene fuori è quanto di più azzeccato può scaturire da un volume come questo che non ha certo la catalogazione né l’ambizione di un “romanzo”, ma che in qualche modo lo diventa perché l’Autore spesso e volentieri viene aiutato dai suoi figli, anche in ulteriori eccezionali scoperte scartabellando tra quel fondo librario.
Ancora: il pathos della ricerca lo fa assurgere in alcune pagine addirittura al ritmo del “giallo”, come quando Luigi Contu e la figlia Ludovica si mettono sulle tracce di un eventuale inedito Ungaretti: non vi svelo come va a finire, ma di certo il capitolo “L’INNO corretto” è tra i più belli di questo libro e arriva a poche settimane dall’inizio della sistemazione della biblioteca di casa, ma già sufficienti perché, scrive Contu, “ero stato catapultato in un mondo parallelo tra filastrocche sarde, versi futuristi, racconti di guerra, teorie einsteniane, dialoghi di Valery”. Capito quanta abbondanza culturale c’è nei libri-racconti di questo volume?
Tra nonno Rafaele a papà Ignazio, a sua volta altro grande giornalista, Luigi Contu compie un viaggio nella Storia e, per l’appunto, anche nel Giornalismo (le maiuscole sono volute): e se la prima è anche un succedersi di accadimenti, il Giornalismo è il profumo di quotidiani e riviste da sfogliare ogni giorno e poi ancora a distanza di decenni, magari ritrovando biblioteca ed emeroteca di un padre e di un nonno.
Non a caso tutto ha inizio, per il racconto affabulatorio di questo libro, quando Ignazio dal capezzale dove tre giorni dopo sarebbe morto, consegna al figlio Luigi un foglietto indicante la disposizione della sua biblioteca.
Lo so, il paragone non regge, ma a mio padre nei giorni prima della morte leggevo “Il Mattino”, il quotidiano della sua città, e gli brillavano gli occhi. E nella sua biblioteca, negli scaffali dedicati alle riviste, ha conservato diverse cartelline con tanti miei articoli che neppure io ho, o ricordo di aver scritto… L’ho scoperto poco tempo fa per caso, ma con pudore le ho subito richiuse, ripromettendomi di aprirle solo quando anche i libri di papà, ora gelosamente conservati da mia madre, si sentiranno un po’ soli. Come noi.