? Tra…boni e cattivi | Pagina 92

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L’editoriale per il numero di giugno di Anagni-Alatri Uno, mensile diocesano.

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“Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime (Mt. 11,28-30).

”Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la Terra. (Mt 5, 3-12)

Per aprire il cuore degli altri ed invitare alla conversione servono mitezza, umiltà e povertà, seguendo i passi di Cristo (papa Francesco, Santa Marta, febbraio 2019).

Se avete letto con attenzione queste frasi – e cento altre ancora se ne potrebbero elencare restando in materia – al centro c’è sempre la “mitezza”: per la grammatica italiana è un sostantivo femminile, per noi che ci diciamo cristiani è un invito che dovrebbe farsi stile di vita. Ma probabilmente è la più dimenticata delle beatitudini. Eppure, serve come il pane, come l’aria per respirare in questi giorni così difficili. E anche chi scrive non avrebbe ripescato il concetto di “mitezza” da ricordi evangelici e letterari (il filosofo Norberto Bobbio scrisse addirittura un “Elogio della mitezza”) se il vescovo Lorenzo Loppa non lo avesse messo nell’elenco – premuroso e per niente didascalico – degli impegni che ogni sacerdote deve assumere davanti alla comunità. Il presule lo ha fatto durante l’omelia della Messa di ordinazione di don Rosario Vitagliano (da pagina 4 ne pubblichiamo un ampio estratto) invitando il neo presbitero alla gioia, alla preghiera, alla pazienza, alla speranza e, per l’appunto, alla mitezza.

Ma è come se l’invito del vescovo Lorenzo, risuonato della Cattedrale di Anagni, riguardasse ognuno di noi, le nostre vocazioni. Da qualche decennio, la Chiesa ripete con sempre più forza e convinzione che la vocazione non è solo sacerdotale e religiosa, ma anche quella al matrimonio, al celibato, all’essere padri e figli. Oggi bisognerebbe aggiungere un surplus di vocazione: all’essere uomini di questo mondo e di questo periodo così difficili, perfino a essere disoccupati, in cerca di lavoro, padri di figli che scappano.

Certo, è una forzatura, perché nessuno è chiamato (vocazione, dal latino vocatio, ovvero “chiamata”, “invito”) ad essere disoccupato o a vivere nei veleni di una terra inquinata, figuriamoci. Però ora è questo quello che accade. E non sarebbe male affrontare il tutto con una dose sempre maggiore di mitezza, anziché con l’odio reciproco, con l’io che non corrisponde a Dio, con il tutti contro tutti.

 

L’alba della domenica

L’alba oramai ho imparato a guardarla ogni giorno, svegliato sempre troppo presto, e sempre prima, da pensieri sovrapposti alle parole di persone che m’hanno fatto male.

Ma l’alba della domenica ha comunque colori e calori diversi, riflessi nel giorno del Signore. La guardo dal finestrone della mia cucina – casa focolare domestico – e la sento nel respiro che è ancora sonno dei miei cari.  Poi mi lascerò cullare dalle prime campane a festa, dallo scorrere avido su un giornale – preghiera laica irrinunciabile – e dai sorrisi e dalle strette di mano di gente che conosco da sempre. E ripenso che tutto muove da quell’Alba, come un giorno senza fine.