? Tra…boni e cattivi | Pagina 91

I malinconici stupori di Cardamone

Più e più volte ho scritto di Alfonso Cardamone, amico e Poeta, e dunque delle sue Poesie (e della nostra amicizia). Torno a farlo ora, con il solito, immenso e crescente piacere, per questa raccolta “Stupori tardivi”, edita da “Cultura e dintorni”, prefata con dovizia da Carmen De Stasio e con una serie di disegni elaborati da Claudio Ceccarelli.

Parafrasandone il titolo (e chiedo scusa per la banalità) mi viene subito da dire e da scrivere che lo stupore è tutto mio: davvero non pensavo che i versi di Alfonso potessero sorprendermi di nuovo, nel senso – provo a spiegare meglio – di stupirmi ancora di più di quanto non lo abbiano già fatto in questi anni (due decenni? O forse più) di coltivata lettura delle sue raccolte.

Qui siamo su vette altissime, e ne sgorga una Poesia che poi setaccia con meticolosità ogni ansa del fiume di dense parole che va a formare.

Vorrei aggiungere – a mo’ di pura riflessione personale, che non ha certo le armi del critico sopraffino e patentato – che da una pagina all’altra, il filo sottile che tutte le unisce mi è parso quello della malinconia. Che sarà anche condizione dell’animo, perfino materia di studio in psichiatria, ma che diventa elemento inossidabile – e a tratti indispensabile, anche involontariamente – per chi usa le parole per farne Poesia. Ed in questo, Alfonso è maestro.

Prendiamo “Incontro alla notte”, che più di altre m’ha colpito. Eccola: <Incontro alla notte/per saldare i conti/con il giorno trascorso/per rovesciare il tavolo/per spiare il teatro dei sogni>.

E in tanti altri versi c’è il disperato bisogno di aggrapparsi a qualcosa: non mi pare sia materia di speranza (tanto meno di quella cristiana, che so lontana dalla percezione e dalla contemporaneità dell’amico Alfonso), ma forse di vita che s’aggrappa alla vita. E l’ampia parentesi – intitolata non a caso “Transizione” – con i versi dedicati ai nipoti, magari sta lì a dimostrarlo.

E’ anche un interrogarsi continuo quello di Cardamone, come a volerli stanare certi “stupori”. Prendiamo i versi di “Stagioni (?)” nel cui titolo non a caso compare proprio il punto di domanda: <Ottobre qui da noi dietro/ i cancelli fioriscono pallide/ le rose/ ma dentro accesi orti/stupiscono i ciliegi d’inopinati/ frutti/ risaliranno forse in primavera/ dal mare fragorosi verso i monti/ i fiumi>.

Insomma, una raccolta deliziosa che lascia il buon gusto della lettura (e il retrogusto di riflessioni mai scontate né opache).

Ps: a proposito, “Malinconia” è anche il titolo dato a questi versi-manifesto: <Malinconia/male della tetraggine/ti assolve/sola la mai doma/voglia d’amore>.

Minchia signor Faletti, come manchi

Presi come siamo dalla stretta attualità – che va sempre più… stretta a chi cerca altro – ieri, 4 luglio 2019, in pochissimi hanno celebrato il quinto anniversario della scomparsa di Giorgio Faletti.

Molti lo ricordano come comico (bravo, mai sguaiato), moltissimi ne apprezzano ancora oggi i gialli. Eppure, fu con la Musica (intesa come parole e come melodia) che questo Artista astigiano offrì probabilmente il meglio di sè: “Signor tenente” – la canzone che portò a Sanremo nel 1984, se non ricordo male – era e resta un capolavoro. E quel “minchia signor tenente” andrebbe fatta ascoltare, riascoltare e imparare a memoria a tanti ragazzi, compresi quei giovani che aspirano a diventare musicisti passando per le scorciatoie di un talent di una sola stagione.

O a quegli adulti che oggi blaterano di antimafia, senza poi dare costrutto a tante buone intenzioni.

Faletti scrisse tante altre canzoni, magari meno famose ma tutte significative, mai inutili, mai da talent per l’appunto, offrendole ad artisti diversi, e spesso pure questi – da Drupi a Fiordaliso passando per Dario Baldan Bembo – mai apprezzati fino in fondo.

E poi, Giorgio Faletti spese gli ultimi anni della sua vita su un’isola (l’Elba). E solo un uomo che va su un’isola è capace di non essere un’isola.

Minchia signor Faletti, come manchi.