Archivi categoria: Povera voce

L’alba della domenica

L’alba oramai ho imparato a guardarla ogni giorno, svegliato sempre troppo presto, e sempre prima, da pensieri sovrapposti alle parole di persone che m’hanno fatto male.

Ma l’alba della domenica ha comunque colori e calori diversi, riflessi nel giorno del Signore. La guardo dal finestrone della mia cucina – casa focolare domestico – e la sento nel respiro che è ancora sonno dei miei cari.  Poi mi lascerò cullare dalle prime campane a festa, dallo scorrere avido su un giornale – preghiera laica irrinunciabile – e dai sorrisi e dalle strette di mano di gente che conosco da sempre. E ripenso che tutto muove da quell’Alba, come un giorno senza fine.

Dalla musica messicana al seminario: storia di una vocazione

Ancora pochi giorni e poi Rosario Vitagliano sarà don Rosario: l’8 giugno verrà infatti ordinato sacerdote nella Cattedrale di Anagni, al culmine di un percorso di vita e vocazionale che lui stesso sintetizza così: «Sono nato ad Alatri il 17 febbraio 1983 e sono vissuto a Trevi nel Lazio, insieme a papà Renato, a mamma Irene che tutti chiamano così anche se si chiama Nazarena, a mia sorella Barbara, di 5 anni più piccola. A Trevi ho fatto elementari e medie, prima del Classico a Subiaco. Poi mi sono iscritto alla facoltà di Giurisprudenza e mi sono laureato a Tor Vergata nel 2011. Un anno dopo, nell’ottobre del 2012, sono entrato in seminario, al Leoniano di Anagni».

Sullo specifico del “sentire” la vocazione, don Rosario entra nei dettagli del racconto: «A Trevi c’erano delle suore, le Oblate del Sacro Cuore, che organizzavano un po’ la pastorale del paese e io, assieme ad altri ragazzi, davo una mano come potevo, soprattutto suonando, perché ho studiato un po’ di musica e suono fisarmonica e tastiere. Era soprattutto suor Amalia a trascinarmi nello stare insieme ai ragazzi, organizzare recital e musical. E poi mi portava agli incontri di preghiera. Erano tutte cose che mi piacevano e suor Amalia ogni tanto la buttava lì: “ma perché non entri in seminario?”. Io non le davo retta, almeno all’apparenza, perché in realtà sentivo questo desiderio crescere dentro di me. Ne parlavo anche con don Alberto Ponzi, parroco a Trevi, e lui mi è stato sempre d’aiuto, soprattutto nella fase di discernimento. Io intanto mi ero iscritto all’università e, d’accordo anche con don Alberto, ho deciso di proseguire e terminare gli studi, per verificare poi se sentivo ancora o meno la vocazione. E anche per dare una soddisfazione in famiglia prendendo la laurea in Legge».

Laurea che, come detto, arriva nel 2011 e dopo la quale Rosario prende anche in esame la possibilità di cercarsi un lavoro in qualche studio legale. Ma, in parallelo, continua a dare una mano alla pastorale del paese e soprattutto al santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, dove è rettore lo stesso don Alberto. «Andavo lì a suonare durante le Messe, ad animare le funzioni. E proprio davanti alla Trinità è maturata la mia scelta definitiva, perché in effetti era quella del seminario la mia prima scelta. Mi ricordo che era una domenica e parlando con don Alberto a un certo punto gli ho detto: “Va bene, io entro in seminario. Però se mi accorgo che non fa per me, esco subito”. E lui mi ha risposto: “Vai pure, vedrai che sarà un bel cammino”».

Rosario entra al Leoniano con un misto di convinzione e sano timore: «A parte l’università, non avevo mai lasciato l’ambiente di Trevi, che era il mio mondo. Lì suonavo anche in un gruppo, “I Tequila”, musiche latinoamericane e balli di gruppo, ci chiamavano a suonare nelle feste e l’ho fatto fino a poco tempo fa. La prima settimana in seminario è stata traumatica, ma poi tutto è passato e ho trovato quel mondo bello ed accogliente. Ho apprezzato ancora di più la forza della preghiera, il contatto con la Parola di Dio. E sono stati anni anche di grande formazione umana: ho imparato a voler bene e a volere il bene degli altri, con i formatori e i compagni di classe il rapporto è sempre stato buono».

Da seminarista, i primi due anni ha dato una mano alla parrocchia di Trevi, poi nell’unità pastorale di Alatri centro, anche da diacono, e dove dovrebbe restare anche dopo l’ordinazione.

Chiudiamo con una battuta sulla crisi delle vocazioni, almeno nei numeri: «Forse c’è l’idea che un seminario sia un luogo chiuso, oscuro. E invece vi assicuro che non è così: c’è gioia, allegria, la musica, il pallone! Certo, conta anche la figura del prete: se un giovane vede un prete felice di esserlo, allora ti viene spontaneo pensare: anche io voglio essere così».

(articolo pubblicato sulla pagina diocesana Anagni-Alatri di Laziosette, l’inserto della domenica di Avvenire)

Una preghiera per i giornalisti

Questa domenica, che oramai sta per finire, è dedicata dalla Chiesa alle comunicazioni sociali. Il tema scelto è bellissimo: « “Siamo membra gli uni degli altri” (Ef 4,25).  Dalle social network communities alla comunità umana ».

Ecco, mi sarei aspettato un fiume di post sui social. E invece, a parte qualche raro collega, niente di niente. Però si sono sprecati i commenti su Marco Carta, sulle baruffe alla sfilata del 2 giugno, perfino sulla finale di Champions senza squadre italiane.

Io invece, nel mio piccolissimo, stamattina mi sono un po’ emozionato e commosso (e commosso ed emozionato) quando a Messa, alla preghiera dei fedeli, è stato rivolto un pensiero anche per i giornalisti. Perché è sempre più chiaro che di questo abbiamo bisogno: di preghiere. E di pregare.

E’ qui la festa!, per un nuovo prete

La diocesi accoglie un nuovo sacerdote. E altri ne verranno, con la preghiera e la vicinanza a tutti i preti

———————

Campane a festa l’8 e il 9 giugno nella nostra Chiesa di Anagni-Alatri, per l’ordinazione e la prima Messa di Rosario Vitagliano. Perché è festa – autentica, coinvolgente, gioiosa – ogni volta che un giovane accetta di donarsi per sempre al Signore, di mettersi a disposizione del prossimo. E non è solo una “cosa da preti”: visto come vanno le cose, dovremmo (dobbiamo!) essere soprattutto noi laici a gioire per un dono del genere, perché spesso – soprattutto quando ne abbiamo bisogno – facciamo fatica a trovare quella figura di riferimento che solo un sacerdote sa essere. <Sacerdoti santi>, come ripetevano le nostre nonne nelle giaculatorie; e come sono nel 99,9% dei casi. Anche se poi “la gente” si ferma maldestramente allo scandalo dato dallo 0,1%. Ma non è neppure questo il dato importante, come pure non è questione di numeri; certo, il calo delle vocazioni è reale, però l’inversione di tendenza può partire solo da noi: con la preghiera e con la vicinanza ai nostri sacerdoti (invece di star lì con il dito puntato se ritarda 5 minuti, se non risponde al telefono, se la processione passa in quella strada piuttosto che sotto casa nostra, ecc ecc).

Nella nostra diocesi la pastorale vocazionale da qualche tempo, per volere del vescovo Lorenzo Loppa, è stata unita a quella giovanile e i frutti, ne siamo certi, presto arriveranno, anche se il contesto generale non è facile: i giovani (come rimarcato dal responsabile di questa pastorale, don Luca Fanfarillo, in un servizio apparso di recente sulla pagina diocesana di Avvenire) hanno altri interessi ed è difficile farli fermare a riflettere; anche le famiglie oggi sono alle prese con mille altri problemi e figuriamoci se un giovane può crescere in santità tra le mura domestiche. Eppure, il padrone della messe continuerà a mandare operai nella Sua messe. Come Rosario, come Antonello che si prepara, come tutti i don che verranno.

In ricordo di un Amico

Ieri sono stato ad un convegno sulla santità laicale: figure straordinarie di giovani, di studenti, di mamme, papà e professionisti che hanno santificato il loro vivere, nella quotidianità. Mentre i relatori parlavano, a me ogni tanto (spesso…) tornava in mente la figura del mio amico Gianni Astrei, a 10 anni esatti dalla nascita al Cielo. E pensavo: la santità della porta accanto, come dice papa Francesco, è proprio quella che ha vissuto Gianni. Sposo e padre esemplare, professionista come pochi altri, a me aveva fatto il dono dell’Amicizia. E solo lui sapeva donarla, senza nulla chiedere e tanto meno pretendere.

Per un periodo – purtroppo breve ma davvero intenso – ci siamo frequentati, tra la preparazione del primo Fiuggi Family Festival e la presentazione di alcuni libri. Ma era nei momenti “ordinari” che Gianni lasciava esplodere tutto il Bene che aveva dentro: se gli chiedevi un consiglio sui rapporti con tuo figlio, lui c’era; per un’emergenza lavorativa, sapeva come aiutarti; perfino in vista di una consultazione elettorale – lui che della Politica aveva fatto davvero un Servizio – riusciva a trovare la direzione giusta. La bussola che aveva, d’altro canto, era quella dell’Amore, la sola che non smarrisce mai la strada.

Potrei raccontare decine di episodi, ma il groppo in gola, ancora oggi, 10 anni dopo, è di quelli che non ti fanno andare avanti. E comunque, l’immagine che più mi torna in mente è quella che non ho visto, ma che sento vicina più di ogni altra: mi hanno raccontato che, mentre giaceva in fondo a quel crepaccio, con le ultime forze che gli restavano, Gianni chiese ad un parente, al telefonino, di recitare insieme il Rosario: nella tristezza, mi consola il fatto che sarà entrato in Paradiso accompagnato direttamente dalla Madre Celeste.

Quel bimbo morto nel traffico e l’altro silenzio (che fa male)

Nei giorni scorsi sono rimasto molto colpito dalla vicenda del bambino morto a Roma, con l’auto della mamma intrappolata nel traffico, mentre intorno sfrecciavano i bolidi di una corsa.  Di getto, ho scritto una lettera al Direttore di Avvenire, pubblicata ieri. Questo è il testo:

Caro Direttore,

venerdì 11 aprile: come ogni giorno, di buon mattino, leggo il nostro giornale. Ma stavolta mi inchiodo a pagina 2 e alla riflessione di Daniele Mencarelli sul bambino di 11 anni morto a Roma Eur per una crisi d’asma, ma con la mamma e i soccorsi imbottigliati nel traffico quotidiano, stavolta appesantito dai divieti per una gara automobilistica.

“Il necessario silenzio per quel bambino morto” recita il titolo: questo pensiero mi accompagna per tutto il giorno e cerco di tramutare quel silenzio nella mia povera preghiera. Cristianamente mi rivolgo a quell’Angelo in più ora in Cielo, umanamente non riesco a darmi pace.

Poi, la sera, guardo il Tg1 delle 20 e, nelle battute iniziali e poi verso la fine, passano addirittura due servizi (non giudico l’operato di colleghi, ci mancherebbe, ma l’enfasi mi pare davvero eccessiva) su quella gara automobilistica di Formula E.

Il secondo servizio è un report sportivo, con tanto di intervista al campione Felipe Massa. Nel primo servizio invece, c’è il vicepresidente del Consiglio dei Ministri Luigi Di Maio che loda l’iniziativa della gara, tutto contento accanto ad uno di quei bolidi. Per quel bambino di 11 anni, invece, neppure un pensiero, o una parola di conforto per quella madre che l’ha visto morire sotto i suoi occhi. Ed è un silenzio, questo, per niente necessario e che fa male.