Sono iniziati a Roma i lavori dell’assemblea nazionale Usmi (Unione superiore maggiori d’Italia), con forti richiami alla fraternità, alla collaborazione intercongregazionale e al percorso sinodale. Oggi su Avvenire.
Archivi categoria: Povera voce
L’apostolo della buona stampa sotto il manto di Maria
Chiara, (papa) Francesco e l’indispensabile allegria delle suore
Questa foto l’ho scattata (va be’, anche un po’…rubacchiata da lontano, per non farmi vedere) davanti alla chiesa di Santa Chiara, ad Assisi, dove oggi papa Francesco si è recato per salutare la comunità monastica, come fuori programma della sua visita a Santa Maria degli Angeli. Sono suore, giovani e no, italiane e straniere, allegre e divertite davanti ad una bancarella, forse attratte da un souvenir un po’ strano. E ci sta questa allegria – a far davvero più bella la vita – da parte di chi si è interamente consacrato al Signore e così ai poveri, agli ultimi, ai diseredati, ai nuovi poveri di oggi. A poche decine di metri da questa piazza, e da questo scatto, c’è la comunità monastica delle Clarisse, le monache di clausura che il Papa oggi ha voluto incontrare: anche loro – e lo so bene per aver visitato diversi monasteri – vivono dei momenti di gioia autentica, di allegria, fosse anche per rincorrere una palla nel chiostro o per una barzelletta che torna alla mente dopo anni di clausura (ma non di chiusura, perché le vere grate sono le nostre).
Ecco, senza le suore “attive” e quelle di vita contemplativa, la Chiesa sarebbe più povera. E non ce la farebbe a sorreggere quei poveri di cose “materiali” che oggi il Papa ha incontrato. E quei “nuovi poveri” – di spirito, di senso – che siamo un po’ tutti noi, e non solo quelli che non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese.
E comunque – per concludere queste povere note – Chiara e Francesco otto secoli fa, proprio in questi stessi luoghi di Assisi, io li immagino anche così: con tanti momenti di gioia. Quella che scaturisce dal cuore e che noi abbiamo smarrito nei meandri di cuori troppo indaffarati a occuparsi di tutto e di niente.
Tante foto per esprimere “il senso” di una Cattedrale
Pastorale della vicinanza per gli italiani all’estero
A Trisulti tornano funzioni religiose e visitatori
Da tutto il Lazio a Lourdes: la faccia bella del volontariato
Quelle piccole grandi chiese
Amo le chiese piccole. E più sono piccole, più mi sento a mio agio. E’ in quei piccoli spazi che trovo – meglio e prima – la Grandezza che sa di Immensità. Questa nella foto, ad esempio, è la chiesa parrocchiale di Tecchiena Castello, nella campagna ciociara, e fa parte di quell’unità pastorale di Tecchiena portata avanti con autentica passione per il ministero sacerdotale dai cari don Antonio e don Giorgio. E’ una chiesa vicino casa, eppure l’ho scoperta da poco, complice il lockdown e un altro… accidenti più personale della vita. Ma già la sento come un luogo del cuore: pochi banchi, su quattro file non esagerate, e il tabernacolo lì davanti, che quasi puoi toccarlo con le mani; e sicuramente lo “tocchi” con il cuore: Ti guarda e Lo guardi, non puoi sfuggire allo sguardo in quella piccolezza di spazi.
Anche i fedeli sono quasi sempre gli stessi e li vedo attenti, proprio come la ristrettezza dello spazio impone. Non ci sono opere d’arte a distrarti, solo qualche affresco alla buona, con scena di vita campestre e paesaggi del posto; sulle vetrate i ritratti di alcuni santi, magari poco conosciuti fuori dai nostri confini provinciali, come Maria De Mattias. Il coro è di quelli che cantano e basta, senza urlare (va be’, qualche volta scappa anche a loro…) e così anche quei canti li senti davvero “vicini”, non solo per una mera questione logistica: insomma, ti viene voglia di unirti al coro, ma poi capisci che non è il caso di rompere i timpani altrui.
Ai primi banchi, di solito stazionano alcuni bambini, guidati da giovani catechiste che si vede lontano mille miglia quanto amore ci mettono, insieme al servizio liturgico sempre attento e amorevole, anche nel semplice gesto di accendere una candela, sistemare il microfono o nel portare al sacerdote “il libro delle Messe” dimenticato in sacrestia. E anche i bambini sembrano godere di quello spazio limitato: il sacerdote è lì a due passi e quasi se lo mangiano con gli occhi, come volessero anticipare i gesti che compie. E quando c’è troppa gente (magari per una festa, per dei battesimi) i bambini vanno a sedersi proprio accanto al sacerdote: e li vedi così contenti, far festa nella festa! Il campanile pare un fiore che spunta tra gli altri fiori del giardino antistante, solo parecchio più alto; e quando le campane suonano, tutto d’intorno trema un po’, ma magari sono i fremiti dell’animo dettati da quel concerto sacro.
Tutto è così semplice, piccolo e semplice, che ti torna in mente quella canzone – la Preghiera di San Damiano, se non ricordo male – che in chiesa cantavamo da ragazzi: “E le gioie semplici, sono le più belle, sono quelle che alla fine sono le più grandi”. Più grandi, nella piccolezza che c’è.
Ecco, lo so: ho scritto cose probabilmente banali, come fossero i pensierini delle elementari. Ma per raccontare un luogo che ti è diventato del cuore, è proprio al cuore – mica ai paroloni o ai sofismi intellettuali – che devi affidarti. E al cuore non si comanda.
Ripartono “I viaggi del cuore”, con tante novità
Torna, nella domenica mattina di Rete 4, la storica trasmissione “I viaggi del cuore”, condotta da don Davide Banzato. Tante le novità per questa edizione, ad iniziare dal progetto “Ciak si gira” con i giovani di Frosinone e un rinnovato impegno missionario con i figli di don Bosco. Oggi su Avvenire.