Archivi categoria: Povera voce

Avvento/6 – Sepolcri mai vuoti

Da piccolo pensavo che i cimiteri aprissero solo nei “giorni dei morti”. Andavo sempre in quello del paese di nonna Maria: poche centinaia di metri da casa, ma anche un’ora per arrivare, perché tutti si fermavano a salutarla e a scambiare due chiacchiere. E io mi sentivo importante perché stavo con una donna importante! E poi tutti a dirmi com’ero cresciuto e com’ero bello dall’ultima volta che mi avevano visto, anche se magari non era vero e ci eravamo visti pochi giorni prima. Poi, dal gabbiotto del custode del cimitero, che non c’era mai ma lasciava sempre bene aperto sul tavolo il giornale che stava leggendo,  prendevo io le chiavi della Cappella di famiglia (ricordo ancora il numero scritto a penna sul fiocchetto azzurro) per aprire il cancelletto in ferro. E anche il lumino dovevo accenderlo io, con i “prosperi” che nonna comprava dal tabacchi in piazza per il fuoco del camino e che oggi nessuno usa più, forse neppure li vendono più.

E ogni volta da nonna mi facevo raccontare le storie di parenti che stavano sepolti lì anche da un secolo, con i nomi e le date scritti a matita, oppure quella di una zia all’epoca ancora viva ma che già si era fatta incidere la lastra col suo nome, così nessuno… le avrebbe rubato il posto. Poi restavo in silenzio, a guardare la foto di nonno, che però non ho mai conosciuto, affascinato da quella divisa da maresciallo. E lì vicino c’era sempre una signora, sulla tomba del figlio morto piccolo come me, con il sepolcro adornato di bandiere della sua squadra del cuore.

Ecco, è tanto, troppo tempo che non vado più in quel cimitero, dove adesso riposa anche nonna. E penso che dovrei farlo proprio adesso, in Avvento, in questo tempo che prepara all’arrivo di Gesù, che nasce anche per accogliere tutti loro in Paradiso.

Avvento/4 – Le monetine

Da ogni viaggio all’estero avevo l’abitudine di riportare monete del Paese visitato. Ne ho ritrovate una manciata: sono dell’India, Portogallo, Russia, Israele, Austria. Finite in una scatolina, inservibili, di alcun valore. E mi pento di averle portate indietro: avrei potuto lasciarle al mendicante fuori dall’aeroporto, ma non come la vedova che offrì due monete ed era tutto quello che aveva  (a noi non manca niente) ma come gesto di condivisione, per dire: amico mio, ti ho visto, non passo oltre, ho visto il tuo bisogno. Piuttosto che guardare solo il mio “bisogno” di uno stupido souvenir.

Avvento/2 – Quelle inutili attese

Avvento = Tempo di attesa. E ripenso a tutte le volte che ho aspettato un treno, un autobus, un aereo, spesso in ritardo. E io lì spazientito, imprecante. Tutto tempo sprecato: avrei potuto chiamare un amico lontano, un genitore, un anziano solo, oppure “impiegare” quel tempo con una preghiera. Perché poi il tempo perso non è mai così perso.

Avvento/1 – Non è il tempo della fretta

E’ tardi, ho da fare (abbiamo sempre da fare), ma il pensiero corre veloce alla Giornata pro orantibus, voluta dalla Chiesa per le claustrali. Ma è tardi, ho fretta. E di fretta – sui social della diocesi di Anagni-Alatri per cui curo le comunicazioni sociali – metto giusto un post per ricordare la Giornata e invitare a pregare per loro. Clicco, va in Rete, ma ho fretta e non riesco a scrivere altro. In poche ore, però, quei post fanno oltre tremila “mi piace” – molto più di tanti articoli “pensati” –  con tanti pensieri, cuoricini, richieste e offerte di preghiere, di persone che sentono le monache di clausura vicine e che evidentemente hanno meno fretta di me. Che devo averne meno, perché l’Avvento non è il tempo della fretta.

(nella foto: la Badessa e una novizia del monastero Benedettino di Alatri)

La (mia) parabola del mezzo talento

“Ma chi te lo fa fare?”. Così mi dice un conoscente dopo che ho appena finito di presentare un libro, non mio, e aver organizzato la relativa manifestazione, comunque grazie anche ad altri amici. D’altro canto, si vede che sono stanco: sono in piedi da 14 ore, al mattino ho lavorato, poi le incombenze familiari, poi ancora le ultime cose da organizzare e la presentazione stessa. “Ma chi te lo fa fare?”: spesso me lo chiedo anch’io e mi riprometto: questa è l’ultima volta che faccio una cosa del genere. Anche perché “perdo” tanto tempo, più di qualche volta anche del denaro (quando organizzo io la remissione è certa, quando mi invitano per presentare non mi danno neanche un euro). E, oltre tutto, non ho il phisique du role e neppure conosco chissà quante cose. Certo, con alcuni Autori che ho presentato ora siamo amici, ed è bello; ma tanti altri, se li chiami neppure ti riconoscono, se mandi una mail neppure rispondono, anche se quel giorno, grazie alla tua presentazione, hanno venduto 50 o 100 libri. Però… però poi penso che magari ad una persona, ad una sola di quelle che era lì ad ascoltare, magari è rimasto qualcosa di quel libro, e siccome cerco di presentare solo libri “edificanti”, allora va bene così. E penso ancora alla mia parabola preferita, che è quella dei talenti. Io un talento vero non ce l’ho: so bene che mi fermo a mezzo talento, perché forse so un po’ scrivere, forse so un po’ leggere libri e poi forse ne so un po’ parlare alla gente. Ma il mio mezzo talento voglio che dia frutto, per essere fedele nel poco.

(immagine presa da www.padrestefanoliberti.com)