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Onde su orde

Nel mare dei pensieri,

(dove nuoto meno uomo di ieri),

mi scopro cullato dalle onde

di gente di dolcezza e misericordia.

E a voi… a voi lascio le orde

di barbari esseri frutto della discordia.

(dalla raccolta “Rime, pagliaccio!”)

ALLEGORIA (come una malinconia)

L’ultimo sguardo si posa, vittima innocente,

dove oramai non serve più niente.

E allegria, fiaba, allegoria:

sogni dispersi di vita tua e vita mia.

 

Certi sguardi ripartono, da tutto e da niente,

poi trovano spianata la nuova via.

E tristezza, realtà, malinconia:

dei sogni non si butta via niente.

Che gol

Provo a guardarli uno ad uno:

saranno trentamila (tutti e nessuno)

occhi che inseguono una palla…

qui è simbolo di riscatto

<dai, passala, al tuo compagno dalla>.

Terra che rinasce, primo atto.

 

Provo a pensare oltre, lucida follia:

una palla basta? Ma intanto per la via

alla fine della partita di pallone

tanti occhi contenti, e miserie lasciate a cauzione:

abbiamo fatto gol a una certa umiliazione.

Riprendo fiato e urlo forte anch’io: “Forza Frosinone”

 

 

Le Poesie sono come ballerine. Nel sovrumano silenzio.

Picinisco, Frosinone, è un posto bellissimo…hanno tutti la stessa maestosità: i vecchi nei vicoli a rigirare la vita tra parole e ricordi; i giovani che sanno di attaccamento alla famiglia e alle tradizioni; le montagne del parco nazionale che lo fanno perché è questo sanno fare, e dare.

A Picinisco da dieci anni – un’eternità, con questo tempo che scorre spesso a casaccio – è l’epicentro del Festival delle Storie, una colorata matassa di cultura e culture che Vittorio, Rachele ed altre persone di buona volontà ad ogni edizione dipanano per togliere a noi altri fili: quelli delle ragnatele appiccicate al pensare e all’andare asfittico.

Prendete, prendiamo ieri sera: in piazza ci saranno state mille persone ad ascoltare un Poeta come Davide Rondoni parlare, dire e fare di Poesia e di Poeti, della Vita che – solo a volerlo – sa pure lei scorrere come Poesia.

Vado in ordine sparso, e le maiuscole sono le mie, tra i miei sparsi appunti presi ieri sera…:

Parole, suoni (e grazie anche a quelli del giovane Virgilio Volante) e immagini evocative di Davide Rondoni:

<e come il vento>.

<La Poesia si fa con le parole. E l’uomo è un essere di parola. La tua vita diventa la tua vita grazie alla parola>.

<La parola è il modo di nominare la vita nel modo più adeguato>.

<Tutte le volte che gli uomini si avvicinano a qualcosa di grande, diventa Poesia>.

<I Poeti prendono sul serio la vita>.

<I Poeti danno voce all’esperienza che fanno tutti>.

<Devi accettare che la tua vita si metta a fuoco con le parole di altri: questo è uno strano prodigio che chiamiamo Poesia>.

<Ma sedendo e mirando>.

<Le Poesie sono come ballerine: bisogna guardarle nei loro movimenti>.

<Sovrumano silenzio. Questo devi chiederti quando leggi le Poesie: se hai sentito un sovrumano silenzio>.

<Di un infinito nello spazio cosa te ne fai? Solamente noi abbiamo il sentimento del tempo>.

<La lettura dei segni è veramente umana>.

<La Poesia grande è sempre attuale>.

<Se tutto diventa identità poi è un problema, è la guerra>.

<Ti identifica solo il tuo rapporto con l’infinito>.

<Il problema è: c’è il vento nella tua vita?>.

<e come il vento>.

E’ la stampa, bruttezza

La stanchezza adesso

è un filo sempre connesso

a questa vita della vita mia

che prende il resto e scivola via.

“Sempre meglio che lavorare”:

l’idiozia di un vecchio detto

che lascia fuori il non detto

di anni consumati nel troppo faticare

Rime, pagliaccio

E’ sempre troppo poco

quest’ultimo mio gioco:

spengo tutte le fiamme

ma rimane sempre il fuoco.

 

Riprendo a camminare, nella vita

col fuoco tra le dita:

e faccio strane facce

all’anima sopita.

 

E se il fuoco lo spengo col ghiaccio?

Provo, dopo stagioni all’addiaccio

Ma è finale di fiaba inventata

E mi ritrovo, al solito, pagliaccio.

 

(luglio 2019, terra di Ciociaria)

Folle poesia

(come un autoritratto, all’isola che si specchia nell’isola)

 

Dell’ironia

ho fatto la vita mia,

viaggiatore folle

delle parole altrui.

 

Ricordo i bambini d’India:

non avevano sogni,

non avevano da mangiare.

Assieme a loro

Ho mangiato sogni

Duri da digerire

Nella pancia piena

Di una strana follia:

al dente, ben cotta, col ragù.

In bianco, rosolata, fritta e dorata,

un filo d’olio appena mi raccomando,

lo vorrei basso questo pane, anzi alto,

con poca crosta, tanta mollica:

ecco le vostre follie

da discount dell’abbondanza.

 

Poi c’era mia nonna

E la sua lucida follia

Del sabato mattina

Al mercato di Ceprano,

un carrello sempre troppo pieno

da tirare, e tirare a campare

una vita lunga di passioni.

Il giorno dopo, le campane

di una Messa lunga una vita.

 

Poi è arrivato mio figlio:

una notte ha chiamato sotto voce

dalla stanza di macchinette

e mostri per gioco,

ha chiesto permesso per addormentarsi

tra i guanciali di famiglia:

<voglio stare con voi

perché ho fatto un brutto sogno>.

Lo svegliavo

e nel mondo non c’era più

neppure un briciolo di follia.

 

Per il resto,

resta poco da dire:

mi chiamano giornalista,

penna d’oro, pennivendolo,

scansafatiche.

Ma che dite?:

sono solo il folle di prima.

E viaggio a folle

Per sentire il vento in faccia

e fare pernacchie alla gente.

Che poi il vento

mi rimanda in faccia.

 

Nel giardino dei poeti

Questa mia povera poesia è stata scelta, assieme ad altre 14, tra le circa 250 provenienti da tutta Italia e da oggi è incastonata nel Giardino dei poeti, nello spazio della parrocchia di Santa Maria Goretti, nella mia città di Frosinone.

Sarò pure presuntuoso – e chiedo venia – ma oggi mi è stata regalata una piccola grande gioia.

La Croce (come una preghiera)

La Croce

prova a raddrizzare

il legno storto che ho dentro,

di uomo e solo uomo.

 

Sotto la tua Croce…, cantavano

quei giovani che mai ho incontrato

nei passi confusi,

di uomo e solo uomo.

 

Sta ferma, mentre il mondo gira:

la Croce. Ho letto così

su un muro, preghiera inespressa,

di uomo e solo uomo.

 

Tu, o Croce,

prova a raddrizzare

ogni cosa.

E poi a soddisfare

fame e sete

di uomo, non più solo uomo.

 

 

Non so nuotare

Non so nuotare  (all’isola mai raggiunta)

 

Poi mi sono ritrovato,

sorpreso,

a sentire la pioggia:

rumore di antiche paure,

affetti portati

all’altare del tempo.

 

Ricordi (li ricordi?, mi ricordi?)

cancellati in fretta

dagli egoismi vostri.

 

Io tolgo il disturbo:

leccarmi le ferite non basta più

(e comunque non basta mai):

cerco altri mari

per imparare a nuotare.