E adesso
camminiamo insieme,
occhi negli occhi
(le mani no, ché è tardi
per darsi un addio).
Giugno 2020
dalla raccolta inedita “Se io fossi un poeta”
?
A mani non più nude
scaverei parole
dette e non dette,
e sabbia fine a incipriarle.
A gambe finalmente levate
correrei su sguardi
intensi e intonsi,
e risate a incorniciarli.
A malinconie sbugiardate,
avvolgerei i cuori
d’amore innamorati,
e battiti a rallentarli.
A ricordi già futuri
affiderei memorie
di versi diversi,
e il poeta busserà alla mia porta.
(giugno 2020)
Solo nodi alla gola
i rimasugli di vita,
già rafferma
di pane stantio.
Solo passi in salita
quello che ancora vorresti fare,
dare il cammino
non ti è più consentito.
Solo urla al silenzio
il bisogno almeno di parlare,
dicerie che al cuore
non hanno più da comandare.
Solo persone che mancano
all’appello dei sentimenti,
e solo di solitudini
provi a cantare (da solo) l’ultimo assolo
Le malinconie, tutte assieme:
tappo allo stomaco,
gola in fiamme che neppure la saliva
dei ricordi spegne.
Le malinconie, strane amiche:
giocano a rimpiattino,
corrono in fretta più veloci
del vento che sibila nomi e facce.
Le malinconie, assurda poesia:
versi che non scorrono,
eppure ti cantavo in rima
ed eri amore uno dopo l’altro.
Verrà la sera
stanca dei miei occhi nei tuoi
a perdersi nelle risa che furono
e nelle corse mai fatte (eppure veloce
sarà passata la vita)
Verrà una sera
dolce e più dolce
delle mie golosità
e dei tuoi rimproveri
(poi magari la notte
e ancora alla dispensa di nascosto).
Verrà una sera
di pochi rimpianti e pianti
di nipoti
(noi due piantati da schiena che duole).
Verrà la sera:
ma è già stasera
che questo amore s’addormenta
di giusto riposo (come ogni sera)
e di tramonto lontano,
di tramonti a stringersi le mani.
Camminerai gli scogli
appuntiti di facce cattive
Prenderai a risate la vita,
finché sarà la tua.
E canterai note stonate
nelle notti insonni di un bambino vostro.
Poi riposerai anche tu,
accanto a un padre vecchio:
l’esistenza già mi stanca
eppure manca tanto, figlio mio,
per sentire (finalmente) la tua mano
nella mia, tremante.
(gennaio 2020)
Accartocciato sulle tue sofferenze
esili (neanche un racconto,
figuriamoci una poesia)
entrano lo stesso i dolori
di chi ha la vita (e questo
è libro, di pagine infinite)
stesa su troppi letti d’ospedale.
E allora impara, e stai zitto
(se scrivere ancora cercherai,
anche appena un rigo).
(gennaio 2020)
Stavolta c’è un vento strano:
porta le note di un carillon
e regala il sonno di bambini
a chi dorme da anni.
E altri bambini
hanno lasciato un foglietto
come usava un tempo:
“ai nostri nonni”;
ma il vento questo non lo strappa,
piuttosto sigillo al marmo freddo
di una notte calda.
* * *
Il nostro era il Natale
della letterina sotto al piatto
e della lenta attesa della scoperta;
adesso accelero i passi verso l’uscita,
tra mille altri sepolcri che paiono uno solo:
il vento della nostalgia mi tiene comunque caldo
in questa notte fredda.
(Natale 2019, al cimitero)
Le mani stavolta cercano le dita
da allungare, verso altre mani:
s’apparecchia così la nuova vita
cercando il prossimo, nel domani.
Le mani tornano mani, e tese
verso l’alto: gesto di preghiera,
trovano il cuore che alla pace s’arrese
nel giorno che si fa sera
(mai notte). Poi giorno nuovamente
nei passi più sicuri in mezzo alla gente
di uomo che cerca, e non mente
E il desiderio ora s’accende, si riaccende.