Leggo sempre due libri alla volta, possibilmente di genere diverso (e talvolta, per urgenze professionali, aggiungo anche un terzo volume). Sono convinto faccia bene tenere la mente allenata così.
Ecco gli ultimi due: “Quel fascista di Pansa”, di Giampaolo Pansa; “Risposta a una lettera di Helga”, di Bergsveinn Birgisson.
Non sono mai stato un grande appassionato di Pansa…: del Pansa giornalista probabilmente mi sono perso i giorni migliori, quando scriveva su Repubblica ed Espresso, non proprio in cima ai miei gradimenti editoriali. Dei suoi libri, invece, ne ho letti diversi, di certo interessanti pur non essendo capolavori. Quest’ultimo, invece, è stato una cocente delusione: Pansa racconta di come l’abbiano trattato male dopo che ha scritto alcuni libri sul fascismo, lui di sinistra. Tutto giusto, tutto vero. Ma non puoi passare 200 e più pagine di quest’ultimo libro a ripetere: ma quanto sono bravo, quanto ho venduto, quanti libri mi hanno fatto vendere le critiche. Non puoi arrivare all’affermazione “Io so’ io e voi non siete…”, e neppure cominciare il libro in questione dando del “fannulloni” a quelli che non sono d’accordo con te (e che però ti hanno fatto vendere, ripetuto una pagina sì e l’altra pure).
Delizioso – come gran parte della narrativa che arriva dall’Islanda – è invece l’altro libro, edito da Bompiani: l’anziano protagonista decide di rispondere, per l’appunto in tarda età, all’unica lettera ricevuta da Helga, il suo antico e grande amore perduto. E queste pagine sono proprio un inno agli amori perduti: a quello che spesso è l’unico amore di una vita, e che se va perduto è lo stesso un grande amore (pure se poi la vita si diverte e gioca con i sentimenti, indicando altri amori, anche sponsali). Questa unica, lunga lettera, è struggente. Come solo l’amore sa essere. E soprattutto l’unico, il grande amore di una vita (che spesso una vita non basta per un amore così grande).