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La gioia di noi tifosi fa sempre rumore

Questo “La gioia fa parecchio rumore” di Sandro Bonvissuto (Einaudi) è un libro che parla di Roma, intesa come squadra di calcio. Ma non è un libro di calcio e/o sul calcio, piuttosto è un libro sulla vita, reale e irreale (che spesso sono la stessa cosa, faccia di un’unica medaglia), e siccome il calcio fa parte della vita… Ma soprattutto questo è un bel libro, che si legge con una facilità straordinaria, come una bella manovra orchestrata da difesa, centrocampo e attacco, fino al “gol” del finale, pagina dopo pagina, azione dopo azione. E’ uno dei libri più belli che mi sia capitato di leggere in questa stagione da rinchiusi dentro casa, in una “stagione” calcistica (oramai due) in verità appannata, senza i rumori e gli odori dello stadio. Ma un bel po’ hanno provveduto queste pagine di Bonvissuto a restituirmeli.

Il libro è “profondo”, nel senso migliore del termine, e dunque – di converso – niente affatto banale, alla faccia di tutti quelli che accostano il football alla banalità e reputano banali (e quindi anche sfaccendati o scansafatiche) i tifosi di calcio.

Queste pagine sono la storia di un tifo assai particolare, quello per la Roma: particolare come lo è l’affezione per qualsiasi squadra di calcio, piccola o grande, vincitrice o derelitta in classifica, di una città da te lontana mille miglia a quella dove sei nato e cresciuto. L’affezione di un bambino – il buon protagonista di questa storia – l’amore calcistico e filiale di un padre, di uno stuolo di parenti, di un’intera borgata di una Roma di tanti anni fa, pure questa tratteggiata in maniera deliziosa dall’Autore. In quella casa, tra quella gente, la squadra della Roma è tutto: l’emozione per la prima bandiera da sventolare, le ore ad ascoltare la radio, gli scudetti che non arrivano e, anzi, la classifica che la devi guardare spesso nella parte destra dei servizi alla tv in bianco e nero. Poi arriva “il brasiliano”, uno degli elementi centrali di questo libro: mai citato per nome, anche se quella “r” al posto “ della “l” come viene subito ribattezzato (e ovviamente la copertina del libro) fa capire che si tratta proprio di “FaRcao”: il bambino protagonista impazzirà per lui, ma soprattutto impazzirà per la vita, quella senza scorciatoie e mezze misure, fatta di tanti universi nell’universo unico e spesso solitario di una partita di calcio, nelle parole poche ma incisive della mamma (a proposito: quante sono le mamme che di calcio apparentemente sanno poco ma che in realtà sanno più di tutti noi messi assieme?), dello strano personaggio chiamato “Barabba”, che al bambino tifoso svelerà la magia del numero 5, quello indossato dal brasiliano (scopro dalle note biografiche che l’Autore è laureato in filosofia, ma nel mio piccolo lo avrei giurato dopo aver letto il libro).

Alla fine della lettura ti accorgi ancora una volta, da innamorato del pallone, che il calcio è proprio questo: una gioia – piccola o grande non importa – che fa rumore. Anche in noi bambini diventati parecchio, forse troppo, grandi.

Ps: come in tanti sanno, non sono tifoso della Roma, anche se da sportivo riconosco che in giallorosso sono passati personaggi con pochi eguali, da Liedolhm a Di Bartolomei, da Dino Viola a Francesco Totti. Anzi, fatti salvi pochi ma deliziosi amici della “magggica”, i tifosi della Roma non riscuotono la gran parte delle mie simpatie, in questo accomunati all’altra squadra cittadina e della regione. Tanto più che spero, ovviamente, che un giorno la seconda o la prima squadra della regione diventi il mio Frosinone. Anche perché al primo anno di serie A la Roma vinse al Matusa solo grazie ad un bel po’ di errori arbitrali, per dire. Però anche quel giorno la gioia fece assai rumore: andare e tornare dallo stadio con amici di Roma e della Roma incantati dal nostro pubblico, da quello stadio piccolo Maracanà dove un certo numero 5 si sarebbe sicuramente trovato come a casa.