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Il Meeting, un punto di ripartenza per l’Italia. E un libro ci aiuta a capire come fare

Nel Meeting numero 40, un libro sui 40 anni del Meeting non poteva non lasciare il segno. Ed in effetti il lavoro di Salvatore Abbruzzese – sociologo, docente all’Università di Trento e pendolare tra quest’ultima città e la ciociara Ceprano dove vive con la sua splendida famiglia – si fa apprezzare per come è stato portato a termine: non solo occasione “celebrativa” ma punto fermo su tutto quello che è stato, è, e ancora sarà, la kermesse riminese di Comunione e Liberazione.

Certo, magari la presentazione di questo libro nel mezzo della settimana del Meeting avrebbe dato allo stesso un respiro maggiore (anche commerciale e di diffusione, perché no) ma il porlo come ultimo incontro è stata comunque una scelta azzeccata, perché ha dato l’idea del suggello a questi primi 40 anni del Meeting e ad una edizione 2019 tra le più effervescenti, dalla partecipazione massiccia (1 milione di persone) e con i clamori della politica che hanno lasciato il posto al confronto, al sociale più che al social (come ha efficacemente rimarcato Paolo Viana su Avvenire), alle “solite” mostre prese d’assalto. E non era semplice e neppure scontato, visto che sul Meeting è piombata una crisi di governo niente male.

Ma veniamo alla presentazione del volume di Abbruzzese (edito da Morcelliana e ora disponibile nelle librerie e online), curata da Emilia Guarnieri, presidente della fondazione Meeting per l’amicizia tra i popoli, e con il vicedirettore del Corriere della Sera, Antono Polito, nel ruolo di intervistatore.

<Questo libro – ha esordito la Guarnieri – mi ha fatto capire di più quello che abbiamo vissuto e quello che stiamo vivendo>. E detto da una delle “colonne” della prima ora, è molto più di un bel complimento.

Efficace anche la prima definizione di Meeting – che non a caso trova poi riscontro nelle ricerche fatte da Abbruzzese e sulla quale il sociologo è tornato nel corso del suo intervento – data da Polito: <Il Meeting mette insieme persone alla ricerca del vero. E il modo in cui lo cercano è paradossalmente più importante dell’esito>.

Salvatore Abbruzzese ha quindi preso a narrare del suo primo incontro… quasi scontro, per chi come lui arrivava da un mondo diametralmente opposto, ma che scontro sul serio non lo è mai stato in quegli anni ’90 <perché rimasi subito colpito dalla bellezza e dalla letizia, e non me le sapevo spiegare, ma le percepivo. E continuavo a venire al Meeting anche quando non mi invitavano, perché dovevo capire>. E la cosa che Abbruzzese – e tanti come lui – ha compreso è che questa esperienza riminese <nasce come denuncia dell’assenza di senso: eravamo tutti insoddisfatti e l’essenziale tendeva ad essere dichiarato come inesistente>.

E poi, ecco “le circostanze”, termine che non a caso nel vocabolario ciellino, e prima ancora giussaniano, qualcosa vuole pur dire. Circostanze che Abbruzzese riassume in due capisaldi: la strage di Bologna in Italia e l’occupazione dei cantieri di Danzica in Polonia, Europa: <Dovevo andare a Rimini per capire cosa stava accadendo in Europa>, ha sottolineato l’Autore, richiamando la figura di Giovanni Paolo II. Ecco, quella del papa santo polacco è una delle figure che tanto hanno dato al Meeting, mentre – molto più laicamente – altre figure hanno fatto altrettanto, ma “insozzate” strada facendo da semplificazioni giornalistiche alla… comunione e fatturazione.

Prendiamo Giulio Andreotti, cui il Meeting 2019 ha dedicato una bella mostra: <L’amicizia del Meeting con Andreotti non va banalizzata. Ma veramente – ha chiosato Abbruzzese – vogliamo ridurla a questione clientelare? Ma per piacere…>.

Anche se alla stesura di questo libro Abbruzzese ha dedicato “solo” gli ultimi 4 anni, è come se lo avesse iniziato a scrivere già dalla prime frequentazioni degli anni ’90, poi diventate assidue e irrinunciabili (anche per un percorso di fede e di amicizia fatta con tanti compagni di strada). E ogni volta, il sociologo ciociaro-trentino restava sconvolto <dalla positività del reale>, da qualcosa <di non banale in un mondo che banalizzava tutto>.

E così ha visto il Meeting farsi <motore in un’epoca in cui regna il disincanto>, capace di <ridare dignità alla domanda e rispettare la ricerca di senso>. E così <la verità dell’uomo resta, anche quando la Dc non c’è più, Giovanni Paolo II torna alla casa del Padre e l’economia non è più controllabile>.

Anche per questo, il Meeting viene visto pure come <una costituente culturale> e i legami con la politica in realtà abbracciano il pre-politico <e non c’è nulla di banale in tutto questo, altro che passerelle>.

E come non sottolineare – lo ha fatto con simpatia anche Polito – il ruolo giocato dai volontari? A migliaia, giovani e no, che spendono tempo e denaro (il loro) per esserci, a sgobbare sotto il sole, a preparare piadine, a pulire i pavimenti: <Il Meeting è nel mondo per viverci meglio. E i volontari vengono a Rimini per questo, sono portatori di una domanda che trovano una risposta – ha aggiunto Abbruzzese – altrimenti non tornerebbero. E aprono una porta sull’infinito>.

Ma, prima di concludere, e come già fatto in un’intervista resa al sottoscritto nei giorni scorsi e apparsa sulle colonne dell’Osservatore Romano, ad Abbruzzese è stato infine chiesto come sarà il Meeting – e dunque la società di cui è specchio – nei prossimi 40 anni: <La società cambierà, recupererà in meglio, anche perché peggio di così non può andare una società dove i genitori devono portare i figli da Sfera ebbasta. Il Meeting sarà uno dei luoghi nei quali si ricomincerà>.

E allora: ai prossimi 40 anni del Meeting (e ad un altro libro di Abbruzzese sui primi 80 anni del Meeting).

Che delusione il Sud della Laurito

La serata a teatro è stata sì piacevole, ma per la bella gente incontrata prima, durante e dopo, e le folate di aria fresca dalle alture ciociare. Perché poi, di teatro, s’è visto davvero pochino. Non certo per demerito dell’ iniziativa “Teatro tra le porte” (una rassegna all’aperto e gratuita voluta dal Comune di Frosinone anche come rilancio del centro storico) quanto piuttosto per il fatto che lo spettacolo proposto ier sera ha davvero deluso le aspettative: “Nuie simmo d’o’ Sud” con Marisa Laurito ha “regalato” un’oretta di noia e pochi spunti artistici, a parte l’esibizione di Charlie Cannon, artista dell’Alabama da decenni in Italia (ha scritto anche per grandi cantanti ed è stato vocalist dell’ultimo tour europeo dei Platters) che da spalla dell’artista napoletana in realtà in diversi frangenti è andato a prendersi tutta la meritata scena.

Lo spettacolo si proponeva come un viaggio nel Sud d’Italia – forse anche con la pretesa di investire i Sud del mondo – attraverso canzoni e monologhi della Laurito, tra la strabordante canzone napoletana e contaminazioni d’oltre Oceano Ma, fatto salvo il giusto e commosso tributo all’amico di sempre Luciano De Crescenzo, la signora Laurito è apparsa giù di tono, complice anche una scenografia misera; immaginiamo che lo spettacolo “vero” abbia un’orchestra e qualche cambio di scena, ma ieri sera, oltre alla Laurito e a Cannon, sul palco solo il bravo Maestro Marco Persichetti al pianoforte.

La Laurito ha cantato dall’inizio alla fine, ma forse senza scaldare la voce, il cui timbro – peraltro impostato ma non originalissimo – ha dato il meglio solo dopo una mezzora abbondante di repertorio.

Anche i – pochi – testi, sono sembrati di una scontatezza unica e di una povertà lessicale a tratti anche imbarazzante per chi stava lì ad ascoltare. Testi che peraltro sia la Laurito che Cannon hanno fatto mostra di leggere continuamente, forse perché lo spettacolo non veniva rappresentato da tempo, per ammissione della stessa artista napoletana. L’impressione di chi scrive è che lo spettacolo non si sia neppure immerso nel contesto in cui è stato rappresentato: certo, non sei tenuto a sapere che Frosinone pullula di lavanderie a gettone, ma se mi fai la battuta sui panni stesi, poi ti tieni il silenzio glaciale che ne consegue (stesso dicasi per le battute sul calcio, che almeno hanno risparmiato ai presenti il coretto del Maradona è meglio ‘e Pelè).

Altri due esempi: il “pistolotto” iniziale sui luoghi comuni del Sud, lodevole nelle intenzioni, è stato un susseguirsi di… luoghi comuni. E l’intermezzo dedicato al grande Luciano De Cresenzo, con una miscellanea di citazioni e battute divertenti, è andato a pescare nello scontato e strasentito.

Il numeroso e inizialmente ben disposto pubblico, lo abbiamo visto andar via in gran parte deluso, dopo essersi raramente (diciamo 100-150 spettatori su quasi duemila presenti) lasciato trascinare dai battimani sui motivetti più noti del repertorio napoletano.

Ovviamente la signora Marisa, fermo restando che con la sua carriera non ha bisogno di dimostrare niente, merita una prova e un spettacolo d’appello. Magari ne riparliamo a “Teatro tra le porte” del 2020.