A quattro anni dal terremoto, mentre la ricostruzione langue, un segno di speranza per Amatrice e dintorni arriva dal restauro di preziose opere d’arte, recuperate tra le macerie del terremoto. Oggi su Avvenire.
Archivi del mese: agosto 2020
Un mese all’insegna della custodia del Creato
LE ULTIME ALBE
Queste ultime albe
di ritmi forsennati,
in forse gli spiccioli di una vita
generata su nostalgie
di ripetitive cadenze:
caduchi uomini
(a cercare invano quello che non c’è).
Eppure le ultime albe
i giorni vedono,
gironi d’inferni di tutta una vita,
abbottonata alla malinconia
di antiche credenze:
creduloni uomini
(a cercare il già trovato).
agosto 2020
A mensa tra gli invisibili italiani: anche nel Lazio è pandemia sociale
Anche nel Lazio esplode la pandemia sociale: a Frosinone poveri quintuplicati alla mensa Caritas; a Fiuggi l’Unitalsi porta cibo e medicine, a Formia una chiesa trasformata in magazzino viveri; a Coreno una casa-rifugio per donne; a Rieti il dramma nel dramma con i problemi del terremoto. Oggi su Avvenire il mio reportage.
Alla ricerca della felicità cristiana
Prosegue, sull’Osservatore Romano, la mia serie “La messe è molta: viaggio nel mondo delle vocazioni”. Ecco la terza puntata, sulla Fraternità san Carlo, altro frutto di don Giussani.
Si può leggere interamente a questo link:
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2020-08/alla-ricerca-della-felicita-cristiana.html
Cassino s’affida alla Madonna, col messaggio del Papa
Eccezionale intervento in utero
Quando la pallavolo è solidale
Quel presepe della nostra povertà
Da ieri non faccio altro che ripensare ad un articolo uscito sulla cronaca romana del Messaggero: in poche ma efficaci righe, Pietro Piovani cesella la storia di un Qualcuno (la maiuscola è mia, volutamente) che ha abbandonato un presepe in una strada della Capitale. Accanto, ha messo un cartello, come a scusarsi del gesto e per un invito: “Questo presepe mi ha accompagnato a lungo nella mia vita. Ma ora non ha più spazio in questa casa (…). Spero che tu possa portarlo con te e dargli una nuova casa. Grazie se stai salvando questo vecchio presepe dall’oblio e dalla miseria in cui io stesso sono caduto. Addio”.
A quanto pare, racconta poi l’articolista, l’invito è stato raccolto e ora quel presepe riempie un’altra casa.
Ma io penso ancora a quel Qualcuno che lo ha abbandonato: un pensionato che non arriva alla fine del mese più tra medicine, nipoti da aiutare e affitto aumentato? Un padre di famiglia del fu “ceto medio” rimasto senza lavoro a 50 anni? Un giovane di belle speranze oramai sulla trentina abbondante, laurea in tasca e neanche uno straccio di lavoro? Penso che quel presepe avrebbe potuto venderlo per due spiccioli, giusto il necessario per un pezzo di pane da portare ai figli. O magari metterlo sì in strada, ma con accanto un barattolo per raccogliere delle offerte e un’altra scritta: “Mi è rimasto solo questo. Però magari con il vostro aiuto il prossimo Natale sarà anche per me di speranza”.
E non oso pensare a quelle cinque lettere finali, a comporre la parola “Addio”, che suona così tragica, forse anche nella mente di quel povero uomo. Che è stato bambino anche lui, con un papà vicino a preparare quel presepe di cartapesta. E chissà quanti Natali di serenità a guardare la capanna, i pastori, i Magi. Mai avrebbe pensato, neppure nel peggiore degli incubi, di doversi staccare da quel presepe e – Dio non voglia – dalla vita. Ma cosa siamo diventati, se Qualcuno di noi deve disfarsi perfino di un presepe?