Dico la verità: conoscevo poco o niente Jonas Hassen Khemiri, se non vagamente di nome per una candidatura al Premio Strega Europeo. E invece adesso scopro che è uno dei maggiori scrittori svedesi, ma soprattutto scopro questo “La clausola del padre”, un romanzo (edito da Einaudi, euro 19,50) che prende dalla prima all’ultima delle sue 249 padre, con la traduzione di Katia De Marco.
La clausola del titolo è, per l’appunto, una specie di accordo-contratto che fanno un padre e un figlio, sulla carta solo perché questi darà al padre l’uso di una casa quando, molto di rado, deciderà di tornare in Svezia. Ma in realtà la clausola è quella di un rapporto padre-figlio che cesella le figure di entrambi in maniera davvero “aggraziata”, dal punto di vista letterario, perché poi entrambi hanno caratteri così spigolosi che tutte le loro vite sono semplicemente contorte. E’ la vita di un figlio che è anche un papà, peraltro in congedo, mentre la moglie lavora, con due figli da far crescere, ma sono ancora troppo piccoli perché già intravedano il traguardo con lo striscione “grandi”. E l’accompagnamento a questa crescita è tra le migliori pagine del libro. Così come, ovviamente, il rapporto con il padre, fatto di silenzi che sono più lunghi del poco che si dicono, anche se da dire ci sarebbe tanto. Il figlio poi decide di andar via, come una sorta di ribellione non tanto alla vita ma proprio a quella clausola, che nel frattempo si è estesa dal padre alla compagna. Quella compagna che non ha mai capito cosa lui vuole non solo fare, ma soprattutto “essere”: non uno stanco commercialista dai pochi ma sicuri guadagni, ma tante altre cose, compreso il comico di pochi minuti su un palco di periferia e senza che nessuno rida. Ma lui su quel palco ha comunque trovato il coraggio di salire, così come, per l’appunto, di fuggire, sia pure solo per una notte. Tornerà a casa (non diciamo come e perché proprio per non togliere il gusto della lettura) ma soprattutto tornerà a se stesso. E non è poco.