ALLEGORIA (come una malinconia)

L’ultimo sguardo si posa, vittima innocente,

dove oramai non serve più niente.

E allegria, fiaba, allegoria:

sogni dispersi di vita tua e vita mia.

 

Certi sguardi ripartono, da tutto e da niente,

poi trovano spianata la nuova via.

E tristezza, realtà, malinconia:

dei sogni non si butta via niente.

Silone, quel grande cristiano (e la speranza di “Severina”)

Sull’Osservatore Romano di oggi – con data venerdì 11 ottobre e reperibile gratis sul sito del giornale della Santa Sede – ecco un articolo dedicato ad Ignazio Silone e da incorniciare, dal titolo “L’avventura di un grande cristiano”, nella rubrica “Incontri”, scritto da Elio Guerriero, uno dei massimi esperti siloniani (la sua biografia “Silone l’inquieto”, edita nel 1990 dalle Paoline, è una delle migliori mai pubblicate). Evidente il gioco di parole con l’avventura del “povero” cristiano e, prendendo spunto da qui e andando ben oltre, Guerriero tratteggia bene proprio la grandezza di Silone, che altri hanno invece colpevolmente sottaciuta anche in questo 30° anno dalla scomparsa.

Amo Silone come pochi altri scrittori, per una di quelle classiche infatuazioni giovanil-letterarie che neppure so spiegare (forse la lettura di un “Fontamara” alle scuole medie?) ma che poi si sono sedimentate. E adoro in particolare il suo scritto forse meno conosciuto, tanto più che, per il sopraggiungere della malattia e poi della morte, Silone lo lasciò incompiuto: “Severina”. E’ stata poi Darina, la moglie di Silone, a pubblicare quel testo che il suo Ignazio sulle prime intitolò “La speranza di suor Severina” e che stava scrivendo in un albergo di Fiuggi.

E ogni volta che vado a Fiuggi, peraltro cittadina a due passi da casa mia, mi fermo davanti ad un albergo dove Silone vergò quelle pagine, e immagino di vederlo lo Scrittore, lì sotto il gazebo e le foglie gialle tutte attorno a fargli da scudo, mentre verga parole e pensieri chino su un tavolo da giardino, un po’ ingobbito su una sedia bianca e gli occhi solo di tanto in tanto sollevati a guardare una vecchia fontana senza pure uno scroscio d’acqua (così come immagino, ogni tanto, di avere capacità da scrittore e di poter un giorno riprendere e finire io “Severina”, che addirittura vedo anche possibile sceneggiare per la tv e corro perfino a immaginare chi possa interpretare quella giovane suora…).

“Severina” è un susseguirsi di pagine memorabili (trovatelo il libro, leggetelo). “Severina” è – per l’appunto – la speranza messa per iscritto. La speranza (Darina commentò che probabilmente in quella figura femminile, peraltro l’unica protagonista della sua produzione, Silone scrisse di sé stesso) di un grande cristiano.

(nella foto, la prima pagina della mia edizione di “Severina”, edizione Mondadori, acquistata a 19 anni, nell’autunno del 1983, e da allora letta centinaia – o migliaia? – di volte).

Le ciambelle della giovane, timida suora di clausura

La suora è giovane, timidissima. Accoglie i visitatori delle “Passeggiate alatrensi” poco oltre il portone (nella foto) del monastero delle Benedettine, nel centro di Alatri. Poco più in là c’è un altro portone, quello della clausura, e di certo questa giovane monaca avrà avuto il permesso per star lì.

Offre con timidezza i dolci ai visitatori che entrano per ammirare il chiostro. In realtà è già mattina tardi e i dolci sono praticamente tutti finiti: “Aspetti, forse ne abbiamo ancora un pacchetto di là”. Torna subito dopo, sempre timidissima: “Mi spiace, sono finiti tutti, proprio tutti. Però abbiamo ancora queste ciambelle. Le abbiamo preparate fino a ieri sera, non immaginate quanta fatica”.

Prendiamo il pacchetto, lasciamo l’offerta e la giovane religiosa è ancora più timida nell’accettare quei soldi (pochi, ma comunque essenziali per la vita del convento) e addirittura le compare un velo di rossore sul viso quando le diciamo che per il piccolo resto può lasciar stare, accetti anche quello come offerta. Il suo sorriso nel salutare vale molto di più di mille “grazie”.

Fuori, percorriamo appena pochi metri ma non resistiamo: la prima ciambella la mangiamo subito. E’ profumatissima, delicata, di un gusto mai sentito prima: sarà quel gusto della Fede autentica, di quella preghiera spesa per tutti noi dalle monache di clausura, in un apparente nascondimento che invece è Vita che esplode, anche nell’impastare ciambelle fino a tardi.

 

 

Anche i silenzi inquinano

Servono i convegni, eccome se servono, quando sono ben organizzati e quando quelli che vi partecipano hanno qualcosa da dire. Questa mattina, ad esempio, a Frosinone, ho partecipato a “Comunicare le emergenze ambientali”, organizzato dalla diocesi frusinate, dall’Ucsi, dalla conferenza episcopale del Lazio e dall’associazione dei maestri cattolici.

Non dirò di tutti gli interventi, comunque interessanti (i colleghi Toni Mira e Maurizio Di Schino, don Alessandro Paone che è delegato regionale per le comunicazioni sociali, il giovane ricercatore Andrea Crescenzi, il ruolo di moderatore sempre puntuale svolto da Pietro Alviti) ma su un paio proverò a focalizzare alcune cose. Ad iniziare dal vescovo Ambrogio Spreafico che, da pastore attento, da anni sta portando avanti – spesso in solitaria – la battaglia per il risanamento della Valle del Sacco, con tante denunce e anche atti concreti attraverso la coop Diaconia. Lo ha ribadito anche stamane: <Non starò zitto, perché quello che è successo qui è anche frutto di tanti silenzi>, garantendo poi che vigilerà personalmente sulla destinazione dei 52 milioni di euro (di certo insufficienti ma comunque un inizio) destinati dal governo Conte 1 per questa Valle, uno dei siti più inquinati d’Italia (domani sulle pagine nazionali di Avvenire un altro articolo con le parole di monsignor Spreafico).

E poi l’intervento di Alessio Porcu, alla guida giornalistica di quel miracolo che da 30 anni (31 a dicembre per la precisione) è Tele Universo. La sua è stata una difesa appassionata, senza peli sulla lingua e mezze parole, della categoria giornalistica, da troppi presa a bersaglio invece di una tutela che può essere anche accompagnamento, anche critica ma mai fine a sé stessa.

<Teneteveli stretti questi giornalisti> ha tuonato Porcu, sottolineando come oramai non se ne trovano neppure più di giovani disposti a imbarcarsi questa professione.

Ma soprattutto Porcu non le ha mandate a dire – almeno così io ho còlto il suo intervento – agli insegnanti (ovviamente con questo non si intende l’intera categoria,  e chi eventualmente s’adonta per questi pensieri o ha la coda di paglia o non li ha capiti), invitandoli a tornare ad insegnare a leggere e a scrivere, ad alfabetizzare i giovani, i lettori-cittadini di domani. Oggi che di lettori in giro già ce ne sono pochi, sempre di meno, e magari proprio la scuola una qualche responsabilità ce l’ha. E allora, ha invitato Porcu, ripartiamo tutti insieme – giornalisti (con tutti i loro difetti ed errori) ed insegnanti – per uscire da questo che pare un tunnel senza fine. Ma che forse non lo è…

 

Sull’isola dei sentimenti

“Tutto sarà perfetto” è un gran bel libro. Il più bello tra quelli di Lorenzo Marone, verrebbe da dire, se però lo scrittore napoletano l’anno scorso non ci avesse già regalato “Un ragazzo normale”, dedicato al povero  Giancarlo Siani.

E allora, detto dell’ex aequo di questi due libri sul podio maroniano, eccoci alla storia di “Tutto sarà normale”, che ti prende pagina dopo pagina, e ti regala l’ebbrezza – che riesce solo ai libri scritti per bene – di farti immedesimare di volta in volta in uno dei personaggi. Prima di tutto in Andrea, protagonista di queste pagine: è un fotografo che ha fin qui attraversato i suoi primi 40 anni di vita con una leggerezza apparente, e che invece scopriremo profondità quando – in maniera abbastanza casuale per uno che non è stato un giovane dai grandi affetti dati e ricevuti  – deve trascorrere alcuni giorni da solo con il padre morente. Ed eccolo allora Libero, questo ex comandante di grandi navi, burbero fino al midollo, ma poi capace di scatti di dolcezza soprattutto verso Andrea: i due mai si sono parlati e “toccati” così tanto come nelle ore che trascorreranno a Procida, isola dell’infanzia. Qui la scrittura di Marone tocca “vette” così alte che neppure sembra di stare… in mezzo al mare. Eppure le pagine di questo libro riescono a far respirare proprio quel mare, quell’isola.

A Procida padre e figlio si racconteranno, e insieme sveleranno, un gran segreto delle loro vite, della loro vita, che ovviamente noi non raccontiamo per non togliere ulteriore piacere al Lettore. Ma soprattutto – questo possiamo dirlo – entrambi ritroveranno la figura di una moglie e madre deliziosa, di quella ragazzina belga innamoratasi del suo principe azzurro arrivato dall’isola italiana, e capace anche lei di custodire qualche segreto, ma sempre percorrendo i sentieri dei sentimenti, che sono poi la strada maestra di questo libero. Poi c’è Marina, la sorella di Andrea, indaffarata (o forse no…) nella sua vita fatta di mille precisioni, ma anche lei alla disperata ricerca di affetti, di sentimenti, lei che quel padre lo ha avuto sempre vicino e che pure lo scoprirà ancora più vicino quando Andrea lo porterà lontano da lei, a Procida (detto per inciso: ogni scrittore che sa raccontare un’isola è mille miglia avanti gli altri).

Volutamente abbiamo lasciato un po’ di fumosità attorno alla trama, perché probabilmente ogni Lettore ne traccerà una diversa, rispecchiandosi in una parte o nell’altra del libro, oltre che dei vari personaggi. Anche per questo – per scommettere su una lettura diversa, mai banale – vale la pena di spendere i 16,50 euro di “Tutto sarà perfetto”. E di aspettare – non al varco, ci mancherebbe, ma in trepida attesa di un’altra porzione di gustosa lettura – il prossimo libro di Lorenzo Marone (che, detto per inciso, benché venda e abbia una discreta visibilità, meriterebbe ben altra “fortuna” da parte del grande pubblico e sulle scene editoriali).