Anche la Danza, come ogni forma d’Arte, è integrazione. Oggi su Avvenire.
Archivi del mese: aprile 2019
Ventotene, isola d’Europa
Santo Stefano, storia e memoria in rovina (ma i soldi ci sono)
La Madonna accanto alla Trinità
Mettete un giornale nell’uovo di Pasqua
Non so bene cosa rappresenti la tradizione dell’uovo di Pasqua e neppure mi interessa più di tanto: so solo che rende felici i bambini quando lo ricevono, e questo è bellissimo; ma il dono fa contenti anche parecchi adulti, per non dire di giovanotti adolescenti che fanno tanto i duri, che recalcitrano pure davanti alla prospettiva “del solito pranzo pasquale con gli zii che neppure conosco”, ma poi si squagliano anche loro con un sorriso appena ricevono un uovo.
Per i bambini, nell’uovo c’è la classica sorpresa di un giochino. Per gli adulti ha preso piede la moda di far inserire un regalo personalizzato nell’uovo; per i giovanotti di cui sopra l’uovo lo si accompagna con una mancetta.
Ecco, fatti salvi i bambini, per questa Pasqua vorrei fare una piccola proposta: mettete un giornale quotidiano – uno qualsiasi – nell’uovo dei grandi, mentre per gli adolescenti unite un carnet d’accordo con il vostro giornalaio per l’acquisto di un quotidiano per una settimana (bastano euro 10,50): sicuramente questi ultimi un giornale l’hanno letto raramente e magari il fatto di leggerlo per sette giorni consecutivi potrebbe far scoprire loro tutto un mondo diverso da telefonini e c.
Sarebbe una bella Pasqua (mi verrebbe da aggiungere “di resurrezione”, ma davvero non voglio mischiare sacro e profano) per tanti giornali ed edicolanti che soffrono il calo delle vendite, per i giornalisti che provvedimenti governativi beceri vogliono portare alla fame.
Ps: conosco già i commenti di certi “leoni da tastiera”, soprattutto di quelli scodinzolanti ai piedi del comico genovese: <Basta con i finanziamenti ai giornali, i soldi destiniamoli a…, dovete morire di fame!, pennivendoli!>, ecc. Poi neppure una riga sugli aiuti di Stato alle auto, agli elettrodomestici, ai pannelli solari, ai mobili da giardino, all’Alitalia, alle banche, ai sindacati (giusto per dire: 102 milioni di euro ai Caf perché gestiscano il reddito di cittadinanza, praticamente il doppio dei tagli ai fondi per l’editoria con cui si pretendono di salvare i conti dello Stato).
E buona Pasqua a tutti.
Quel bimbo morto nel traffico e l’altro silenzio (che fa male)
Nei giorni scorsi sono rimasto molto colpito dalla vicenda del bambino morto a Roma, con l’auto della mamma intrappolata nel traffico, mentre intorno sfrecciavano i bolidi di una corsa. Di getto, ho scritto una lettera al Direttore di Avvenire, pubblicata ieri. Questo è il testo:
Caro Direttore,
venerdì 11 aprile: come ogni giorno, di buon mattino, leggo il nostro giornale. Ma stavolta mi inchiodo a pagina 2 e alla riflessione di Daniele Mencarelli sul bambino di 11 anni morto a Roma Eur per una crisi d’asma, ma con la mamma e i soccorsi imbottigliati nel traffico quotidiano, stavolta appesantito dai divieti per una gara automobilistica.
“Il necessario silenzio per quel bambino morto” recita il titolo: questo pensiero mi accompagna per tutto il giorno e cerco di tramutare quel silenzio nella mia povera preghiera. Cristianamente mi rivolgo a quell’Angelo in più ora in Cielo, umanamente non riesco a darmi pace.
Poi, la sera, guardo il Tg1 delle 20 e, nelle battute iniziali e poi verso la fine, passano addirittura due servizi (non giudico l’operato di colleghi, ci mancherebbe, ma l’enfasi mi pare davvero eccessiva) su quella gara automobilistica di Formula E.
Il secondo servizio è un report sportivo, con tanto di intervista al campione Felipe Massa. Nel primo servizio invece, c’è il vicepresidente del Consiglio dei Ministri Luigi Di Maio che loda l’iniziativa della gara, tutto contento accanto ad uno di quei bolidi. Per quel bambino di 11 anni, invece, neppure un pensiero, o una parola di conforto per quella madre che l’ha visto morire sotto i suoi occhi. Ed è un silenzio, questo, per niente necessario e che fa male.
Tagli, e bavagli, all’editoria: c’è chi dice no
Papa Francesco fra i detenuti di Velletri
Soldi per lo scuolabus: e la sindaca rinuncia all’indennità
Lei è il primo cittadino di Borbona, uno dei paesi più colpiti dal terremoto di Amatrice. C’è bisogno di uno scuolabus ma il Comune non ha i soldi per l’autista. E allora la sindaca rinuncia all’indennità per recuperare quei soldi, mandare i bambini a scuola e non far morire il paese. Il racconto di questa storia oggi su Avvenire.
Tu sai perché il verso non potrà finire
Di Valerio Mello non conosco personalmente neanche le sembianze. Credo di non averne mai sentito, magari al telefono, neppure la voce. Eppure so della sua Poesia. Conoscenza su conoscenza oramai da diversi anni, da un primo suo libro arrivato forse per caso, ma non per caso poi recensito: dentro, si sentiva, c’era la Poesia.
Di libro in libro, Valerio Mello me li ha donati un po’ tutti: altra Poesia dentro i pacchetti del corriere espresso.
Mello scrive e pubblica versi da quando era giovanissimo (il primo, nel 2010, e oggi ha 34 anni) e ad ogni nuova raccolta si coglie in pieno un’altra – perché quella dopo sarà ancora migliore – maturità raggiunta.
Adesso arriva “Da qualche parte nella vita”, pubblicato per i tipi di Italic di Ancona: un libro di rara e struggente bellezza (lo so, un po’ è una frase fatta, ma le cose stanno esattamente così).
L’Autore fa sapere nella nota di aver scritto alcuni di questi versi tra Milano e Varazze: e in effetti si stente forte l’impronta della città grande (<Ora più forte sulla pozzanghera/una grancassa di rotaie,/istantaneo bagliore d’increspatura/ Finestre con le fronde confuse in Largo Cairoli,/ finestre sui giorni di cera./Io vivo, io sono ciò che scrivo>) e lo stridìo dei gabbiani (<Da quale punto s’immagina/osservata la cineraria?/Improvvisa uno sguardo/dalle ampie aperture,/accanto a me; e sente il mare che le appartiene per mistero (…)>.
Ma l’impronta più forte è proprio quella della Poesia, come in “Rami”, la più delicatamente breve, come forse è breve la Bellezza: <E’ incompiuto il dire/Tu sai perché il verso non potrà finire>.