E ho voglia di raccontare un altro ricordo di Goran Kuzminac: primi anni ’80, noi ragazzini sbarbatelli che il massimo della trasgressione era giocare a ping pong anche se l’oratorio era chiuso, tanto per far arrabbiare il parroco, o provare ad andare al mare in due, senza riuscirci, su uno dei primi vesponi.
Estate di Frosinone, si bighellonava in piazza Madonna della Neve. Scuola finita, tante ore sulle panchine a far niente, a dire di tutto (e un po’ anche di tutti, ma in particolare di tutte… le nostre prime fidanzate, che neppure sapevano di essere fidanzate nostre…).
Ma una delle panchine quella mattina la troviamo occupata: c’è seduto un signore con la barba, le grandi braccia distese per tutta la lunghezza della panca, il volto un po’ estatico a godersi la brezza di provincia. Ma sì, è proprio lui: ci avviciniamo, sornioni e un po’ spavaldi: <Scusi, ma lei non è Goran Kuzminac, il grande cantante?>. Sembra sorpreso, eppure è all’apice del successo. Ma sì, è proprio lui. Fa posto per due sulla panchina accanto a lui, noi altri intorno a fargli corona.
Prende a chiacchierare, dice che è appena sceso dall’albergo sulla piazza (non ricordo se si chiamava ancora Nikla o già York Hotel, oggi comunque non c’è più), che ha dormito bene e la sera prima mangiato ancora meglio a Frosinone. Che la sera avrebbe suonato in un paese vicino. Ci racconta della sua particolare tecnica nel suonare la chitarra (non l’aveva con sé, altrimenti di certo ci avrebbe deliziato) e altre cose ancora, come un vecchio amico.
Poi il saluto finale per tutti, ma uno ad uno, ed era tutto: avevamo diviso una delle nostre panchine della piazza – quelle ci sono sempre e ogni tanto è bello risedersi lì – con il grande Goran!