… e allora auguri a noi e a quel bambino che “da grande voglio fare il giornalista”, perché grandi e giornalisti lo siamo diventati. E, tutto sommato, ne è valsa la pena.
Auguri a noi, che forse festeggeremo per l’ultima volta, visto che questo mestiere lo stanno distruggendo.
Auguri a noi, che ancora ci alziamo presto e tiriamo fino a tardi per l’ultima notizia.
Auguri a noi, che chissà se questo mese lo stipendio arriva o che uno stipendio non ce lo abbiamo più.
Auguri a noi, per quelle 12-14 ore dietro al computer, per un articolo e per l’importo lordo di 12-14 euro (quando e se va bene).
Auguri a noi, trent’anni di lavoro e un futuro incerto.
Auguri a noi, che ogni tanto rientriamo a casa e troviamo mogli, mariti e figli ad aspettarci ancora in piedi.
Auguri a noi, che abbiamo studiato per anni, che ci aggiorniamo un giorno sì e l’altro pure.
Auguri a Giancarlo, a Walter, a Ilaria e a tanti altri che per questo mestiere sono morti.
Auguri a noi, perché ancora ci dicono che rappresentiamo “il quarto potere” e invece non abbiamo più neppure il potere di aprire mezza porta. O di respingere quelle che ci chiudono in faccia.
Auguri a noi, che la suola di mille scarpe l’abbiamo davvero consumata cercando notizie, fatti, persone.
Auguri a noi e ai taccuini riempiti e alle biro svuotate.
Auguri a noi, che ci chiamano pure “giornalai” pensando di offenderci, e invece siamo onorati dell’accostamento ad una categoria di altri grandi lavoratori (che pure stanno distruggendo).
Auguri a noi e a quel bambino che “da grande voglio fare il giornalista”, perché grandi e giornalisti lo siamo diventati. E, tutto sommato, ne è valsa la pena.