Quanti sguardi
stringono i silenzi:
per parlare (un po’
sognare, dire e non dire)
dovrei trovarti:
allora viaggio (è il
viaggiatore che fa il viaggio)
fino all’estremo
del mio corpo
(dove i piedi corrono)
fino allo stremo
d’un sentimento
cullato invano
(da piccolo nessuno mi cullava).
… non ci si lasci ingannare dall’apparente semplicità del linguaggio. È la capriola della clausola finale (non a caso posta tra parentesi) che offre la chiave dell’incanto che questi versi suscitano. Il viaggio come scoperta dello scambio emotivo-sentimentale, come un cullarsi (cullare sé) tra l’assenza e la presenza… Ancora bravo, Igor!